(questa vecchissima stampa apparteneva alla mia bisnonna Cristina)
Storia di Santa Cristina di Bolsena (24 luglio) trovata sul
sito turistico del Lago di Bolsena.
Cristina aveva 11 anni quando il padre Urbano, ufficiale dell’imperatore, per sottrarla ai pretendenti la rinchiuse in una torre con dodici ancelle, circondata dal lusso e dai preziosi idoli sacri che avrebbe dovuto venerare.
Cristina era ricca e bellissima ma desiderava rimanere pura.
La giovane avvicinatasi alla religione cristiana, aveva deciso di consacrare la sua vita al vero Dio. Un giorno, spinta dal desiderio di carità verso i poveri, fuggì dalla sua torre d’oro, fece a pezzi le preziose statue degli dei pagani e donò i frammenti a chi non aveva nulla.
Quando il padre venne a conoscenza dell’episodio cercò di convincere Cristina a rinunciare alla sua vocazione.
In quegli anni i cristiani erano duramente perseguitati dai Romani e Urbano non poteva rassegnarsi a perdere la figlia prediletta.
Ma di fronte al fermo rifiuto di Cristina, prevalse nell’animo dell’uomo il senso del dovere verso l’Impero e, soffocando il suo amore paterno, la rinchiuse in carcere.
La prigionia non piegò la fede della giovane, più che mai decisa a votarsi completamente a Dio. Allora Urbano, il mattino seguente, dopo un lungo e violento interrogatorio di fronte al tribunale romano, ordinò che la fanciulla fosse frustata con dodici verghe dai soldati più forti dell’esercito. Ma Cristina, con la forza della preghiera, restò illesa e gli energumeni caddero a terra sfiancati.
La giovane fu allora legata ad una ruota di tortura, un terribile strumento che girando tende fino allo spasimo i muscoli della vittima.
Sotto la ruota fu acceso un fuoco, ma né la ruota né il fuoco ferirono la martire.
Un vento fortissimo spense le fiamme e una forza divina spezzò i legni del cerchio. La gente non credeva ai propri occhi.
Urbano, sconvolto, ordinò che la figlia fosse gettata nelle acque del lago in gran segreto così da non doverla mai più rivedere.
Ma quando la giovane fu lasciata fra le onde con una macina al collo, un angelo discese su di lei e la sollevò dalle acque facendola galleggiare come una piuma.
Quando, la mattina dopo, Urbano si recò alla spiaggia, vide Cristina che si avvicinava all’arenile camminando sulle onde.
Il suo cuore non resse a questa sconvolgente immagine e, tormentato da feroci demoni, Urbano morì.
Ma la persecuzione contro Cristina non cessò.
Fu Dione a portare avanti il terribile progetto di Urbano.
Ordinò che la martire fosse immersa in un grande caldaia colma di pece e olio bollente e che sotto le sue carni fosse acceso un fuoco.
Ma Dione non ebbe la soddisfazione di vederla bruciare viva perché Cristina resisteva alle fiamme senza provare alcun dolore.
L’ufficiale romano, accecato dalla rabbia, fece radere i capelli alla giovane e impose ai soldati di trascinarla nuda fino al tempio di Apollo.
Le donne, vedendo la fanciulla trascinata per le vie della città senza alcun riparo alla sua nudità, commosse tolsero dalle loro spalle i mantelli e crearono una cortina attorno al corpo di Cristina.
Quando la fanciulla fu davanti alla statua del dio pagano questa crollò a terra rovinosamente, uccidendo Dione.
Da allora il persecutore di Cristina fu Giuliano.
Egli la sottopose ad un nuovo, durissimo interrogatorio e, di fronte all’ostinazione della giovane, prese una terribile risoluzione.
La giovane fu rinchiusa fra le mura infuocate di una fornace accesa e lì rimase per cinque giorni. Quando i soldati tornarono ad aprire il forno, convinti di trovare le ceneri della martire, videro Cristina ancora viva: gli angeli avevano tenuto le fiamme lontano dalle sue carni.
Giuliano, credendo di avere di fronte a sè una strega, le fece aizzare contro vipere e serpi velenose, ma i rettili si attorcigliavano carezzevoli intorno al corpo della fanciulla, senza farle alcune male.
Fu invece l’incantatore delle aspidi a essere morso e Cristina, nella sua pura bontà, lo riportò in vita.
Allora Giuliano ordinò che Cristina fosse giustiziata.
All’alba del 24 luglio la giovane fu prelevata dalla prigione e condotta nell’anfiteatro.
Lì le furono tagliate le mammelle e la lingua, ma dai suoi seni usciva latte e non sangue, mentre la fanciulla continuava a cantare le lodi del signore.
Giuliano, infuriato, la fece legare ad un palo e ordinò agli arcieri di colpirla con le loro frecce.
Gli strali le trafissero il petto e i fianchi.
Solo allora Cristina spirò e fu accolta fra le braccia del suo sposo celeste.
(e questo è il retro del quadro)